Janet
mantenne gli occhi fissi in quelli di Amira, la tazza di cioccolata
calda nelle sue mani tremava leggermente, se solo avesse permesso al suo
sguardo di cercare su quel volto i segni della bambina e della donna che aveva
conosciuto sapeva che non sarebbe riuscita a fermare le lacrime e la profonda
rabbia che sentiva agitarsi nel suo ventre.
Era
dicembre, il pomeriggio della vigilia di Natale, Janet e Amira cercavano una
negli occhi dell’altra una bambina che forse c’era ancora, ma che era troppo silenziosa e immobile per
lasciarsi anche solo intravedere.
Janet
chiuse gli occhi morbidamente e afferrò la mano dell’amica che era posata sul
tavolo quasi aggrappata alla tovaglietta bianca e azzurra.
Respirò
profondamente l’odore di cacao e cannella e le scorzette d’arancia messe a
seccare accanto alla stufa, Charlotte e la sua cucina magica. Era lì che le due
bambine si rifugiavano nei pomeriggi d’inverno, c’era sempre una storia ad
aspettarle e qualche dolcetto da sgranocchiare. In quella cucina nascevano i
loro sogni più belli, Charlotte inventava favole o forse erano storie vere
riempite, come si fa per i cioccolatini, con un morbido ripieno di fantasia.
Amira e Janet fra una torta morbida di carote e un croccantino alle mandorle
costruivano il loro futuro.
:- Io
voglio sposare un principe Arabo, nella mia terra esistono ancora principi
ricchissimi che vivono in castelli più belli di quelli della favole.-
Charlotte
sorrideva ai sogni di Amira e metteva nelle sue manine color caramello una
pralina di cioccolato e zenzero.
:- Io
sposerò un ragazzo bellissimo, avrò due figli; uno maschio e l’altra femmina e
girerò il mondo cucinando dolci buonissimi.-
Charlotte
accarezzava la testolina capricciosa della figlia lasciandole addosso l’odore
magico di quella cucina.
Janet
aprì gli occhi e finalmente riuscì a scivolare sui lineamenti del volto di
Amira.
:-
Ricordi il principe arabo?-
Le due
donne sorrisero anche se Amira fece fatica ad aprire la bocca.
:- E tu
hai poi girato il mondo cucinando dolci?-
:- No,
no. Ho girato semplicemente l’angolo.-
Janet
rise raccontando che aveva prelevato il piccolo negozio si usa madre che ora
era diventata una grande pasticceria con due vetrine proprio dietro il
quartiere dove erano cresciute.
:- Ho
due figli ma nessun bellissimo ragazzo che mi aiuta a crescerli, sono separata
da diversi anni e il mio ex marito vive in un altro stato.-
Janet
accennò un sorriso stentato mentre aspettava che Amira trovasse il coraggio di
raccontare.
:- E
Charlotte? Vive con te? Come sta?-
La voce
di Amira era ruvida e profonda come se qualcuno oltre a ridisegnare i
lineamenti del suo volto avesse voluto strapparle anche le parole.
:-
Charlotte è morta lo scorso anno .- Janet sentì la mano rugosa dell’amica
accarezzare la sua.
:- Non
ha abbandonato la sua cucina un solo momento, è morta con un sorriso beato
aspettando la lievitazione delle brioche .-
Anche
Amira ora sorrise con l’unica parte del volto che le avevano lasciato.
:- Sei
felice?- Chiese Amira cercando la risposta negli occhi azzurri di Janet.
:- Sono
serena e in certi momenti mi pare di essere addirittura felice, si.-
Amira
annuì spostando una ciocca arruffata di capelli color carbone.
:- E tu?
– Janet non ebbe il coraggio di chiedere né di pronunciare la parola felicità.
Amira
invece annuì questa volta con grande entusiasmo, sorprendendo l’amica.
:- Oh
si, si, sono felice.-
Janet
rimase immobile mentre si chiedeva come era possibile esser felice quando qualcuno con tanta cattiveria
avesse cancellato per sempre dal tuo volto un occhio, il naso e metà sorriso.
Amira
prese fiato
:- Sono
libera, credimi non esiste felicità più grande. Per anni sono stata costretta
dentro una casa, e quando mi permettevano di uscire mi nascondevano sotto
bellissime stoffe pregiate. Avevo dimenticato la sensazione del vento e del
sole sul viso. –
Janet
ancora non capiva e Amira continuò a raccontare.
:- Il
giorno in cui mio marito ha cancellato il mio viso ho pensato che avrei
preferito che mi uccidesse, che era stato molto più crudele di un assassino. E
invece no, quel giorno lui mi ha liberata anche da me stessa. Ora faccio un po’
paura e chi non mi conosce storce la bocca guardandomi ma sono felice, anche
con solo metà del sorriso. Nessuno può cancellare una donna e sono qui in
questo meraviglioso Paese per dimostrarlo e cammino a volto scoperto proprio
per questo.
Ho una
figlia Janet, lei vive ancora nella famiglia dell’uomo che si è portato via
metà del mio volto.
Il mondo
deve vedere sul mio viso la sofferenza di un intero popolo di donne e bambine.
Io sono libera ora, e voglio liberare mia figlia e tutte le figlie di quel
popolo, ma questa volta senza che nessuno tocchi il loro sorriso.-
Janet
lasciò scivolare le lacrime che fino a quel momento aveva trattenuto, Amira
sorrise con quel sorriso sghembo che le avevano disegnato e concluse
:- E
quindi si, sono felice.-
Janet
tirò su con il naso proprio come faceva da bambina con la vista appannata dalle
lacrime e affondò l’indice nella tazza di cioccolata ormai fredda e addensata,
poi lentamente avvicinò il dito sporco di cioccolata al volto di Amira e
disegnò la metà del sorriso che mancava.
Amira
rise ora con un sorriso intero, un dolcissimo e coraggioso sorriso di
cioccolata.
Selva Della Luna
Mi domando dove sia finito l"Uomo", se mai è esistito....
RispondiEliminaDefinire "civile" una società che non solo permette, ma addirittura giustifica certi atti barbari e assurdi, mi è impossibile.
Credo che l'uomo abbia sempre odiato, perseguitato e torturato la donna solo per paura. Paura del suo potere, della sua forza e del divino che è insito nella natura femminile. La ribellione di un figlio che vuole affermare la sua identità, la sua stessa esistenza disprezzando chi gli ha dato la vita, distruggendo la fonte stessa della Vita. Ma è solo la mia opinione.
Solo noi donne possiamo riprenderci il potere che ci appartiene, e dobbiamo farlo attraverso un percorso di riscoperta consapevole di sè.
Non sarà facile, ma è impossibile non ricordare ciò che siamo, perchè lo siamo, dobbiamo solo crederci e volerlo veramente.
Proprio stanotte mi sono svegliata che avevo un incubo nel cuore, non so se davvero ho sognato violenza ma quei volti erano dentro di me, ed eccomi al pc ha scrivere, a incitare, a cercare di capire... credo che riconoscere in noi il Divino possa essere un grande gradino verso la possibilità del NON SILENZIO ma questa possibilità deve essere data anche all'Uomo. Sto cercando disperatamente in rete qualcosa che parli del Divino nell'uomo, nel maschio... non c'è, perchè? Eppure nella mia mente e nel mio cuore so che solo riconoscendo nell'altro il Divino può verificasi il cambiamento.
RispondiEliminaFaccio molta fatica, a volte, a capire il maschile..
RispondiEliminaIl mio rapporto con esso è sempre molto conflittuale, lo cerco, lo amo, lo odio, ne ho bisogno, lo rinnego, lo fuggo...
Ho l'impressione che spetti a noi donne il compito di incarnare il Divino che è in noi, anche per fare da esempio, per essere un faro nel buio dell'anima, la nostra e quella altrui, però mi riesce difficile vedere il divino in chi si rifugia nella superficialità di ogni cosa, ed il maschio madio è maestro in questo... Non voglio generalizzare, ovvio, la mia è solo una considerazione del tutto personale.
Credo che solo la pazienza, l'umile osservazione dell'altro, l'accettazione dei limiti di ognuno, possa portare a nuove consapevolezze. Da parte mia c'è anche molta rabbia, lo ammetto, rabbia nei confronti di un maschile prepotente, insensibile e cattivo, ma questo è un mio problema che voglio risolvere.
Non so.... E' possibile vedere il divino in chi lo rinnega o non ne ha la minima coscienza, o in chi lo ha inconsapevolmente allontanato da sè?
Io ci provo ogni giorno... A volte ne vedo un lieve barlume, altre volte il nero più totale.
Ma conosco l'oscurità. Forse un giorno riuscirò a penetrarla e comprenderla, anche nell'altro.
Good reading your ppost
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